Preface by Francesco Adorno (CPF I.1*, 1989, pp. V-XI)
Ma avere fatto invece di non avere fatto
[…]
Aver raccolto dal vento una tradizione viva
[…]
Questa non è vanità
Qui l’errore è in ciò che non si è fatto,
Nella diffidenza che fece esitare
Ezra Pound [Canto pisano LXXXI]
Scriveva all’amico e collega Donato Jaja, da Pisa, il 9 febbraio del 1877, Felice Tocco, l’anno dopo avere pubblicato un suo importante studio dal titolo "Ricerche platoniche" (Catanzaro, Asturi 1876): «Il mio studio, come vedi, è affatto storico e non apologetico». Molto finemente Felice Tocco, indubbiamente uno dei maggiori storici della filosofia, considerava il pensiero antico non da studiarsi attraverso schemi e categorie prefissate: allora le hegeliane – oggi altre, forse rovesciate rispetto alle hegeliane, altre ancora o le hegeliane travestite –, di quell’Hegel che il Garin [1], con acume da storico di buon ceppo, ha detto avere ucciso la storia della filosofia: ossia – aggiungo – la storia del pensiero in tutto il suo complesso, che va rintracciato, invece, momento per momento in contesti storici e culturali precisi, con perizia filologica, riproponendo ciascun autore in quello che è stato e nel suo linguaggio e nella sua cultura, nel suo modo di essere filosofo, che mai è lo stesso. «Hegel in fatto – sottolineava Felice Tocco nella sua lettera a Jaja, prendendosela con Francesco Fiorentino –, per trovare un riscontro tra la sua dialettica e quella di Platone, nega di un tratto tutti i dialoghi anteriori [al "Parmenide"], o per meglio dire li interpreta come opere più o meno simboliche».
Ho citato la lettera inedita [2] del Tocco perché, non solo mi sembra di conforto al tipo di lavoro che vado svolgendo, ma anche perché oggi ancora più incisiva mi sembra nei confronti di tanti astorici storici del pensiero. Ma c’è di più, anche perché fin d’allora mi tornò il desiderio di mantenere la promessa che molti anni prima avevo fatto a Giorgio Pasquali e poi a Vittorio Bartoletti. Ricordo: la piccola stanza grigia, carica di libri, dove ancora s’indovinava la presenza di Girolamo Vitelli e di Medea Norsa, a Firenze, nella vecchia sede dell’Istituto papirologico, in piazza San Marco, nei locali della Facoltà di Lettere e Filosofia, un tempo Istituto di Studi Superiori, dove aveva insegnato anche Felice Tocco; ancora davvero giovani, Sebastiano Timpanaro, Manfredo Manfredi, il caro, scomparso, Eugenio Grassi: e, con noi, i maestri. Discussioni, problemi, filologia come critica storica. Sono un curioso e, forse, per questo mi occupo di storia della cultura, cercando di rintracciare attraverso il passato le ragioni del nostro vivere e pensare oggi, senza violentare altri che in altre epoche hanno cercato di rispondere in maniera riflessa alla propria situazione storica.
Un giorno, non so se per scherzo, Vittorio Bartoletti mi chiese di provarmi a fare una raccolta di papiri filosofici per una possibile edizione critica. Cominciai a leggere, a far schede. Allora non ne ebbi la forza. Subito si presentò la questione: i papiri filosofici, ma quali sono i filosofici? Tornava come spettro l’annosa domanda su cosa è la filosofia. Non lo so. Lo so, forse, se si tratta di una riflessione aperta e consapevole sulle proprie esperienze, sulle domande che ogni epoca, ogni situazione storica pone. E allora filosofia per chi; quando; dove; quali gli aspetti molteplici, i molteplici e diversi linguaggi.
Ma l’idea, l’impresa mi solleticava. La lettera del Tocco, il tipo di lavoro che venivo affrontando sull’antichità, il mio stare attento al significato storico dei termini, a come si è costituito il lessico, il mio cercare di comprendere ogni posizione, ogni espressione culturale, in un contesto, in una più complessa situazione, negli aspetti diversi del linguaggio umano, sempre tentando di pensare storicamente un’epoca e un autore, le lunghe discussioni con Ranuccio Bianchi Bandinelli, quando concepimmo i «Dialoghi di Archeologia», mi hanno portato a tornare al vecchio progetto di studiare ciò che è rimasto attraverso i papiri greci e latini: papiri intesi oramai nella più ampia accezione di materiale scrittorio antico (papiri, ostraca, pergamene, tavole cerate). Studio di ciò che è rimasto dei papiri greci e latini, ma non per mèro gusto erudito, non per il piacere di raffinati giuochi. Ma per ricostruire, attraverso quei frammenti, quei cocci, su quei testi diretti, una cultura, più culture, le maniere con cui si sono trasmessi modi di concepire e di pensare. Non una raccolta di pezzi antichi, cocci, frammentini, da mettere in museo, da fare collezione, da sparpagliare in riviste le più disparate, senza poter fare accostamenti, senza vedere il papiro direttamente – tutto un modo diverso d’intendere l’archeologia, lascito di romantiche vedute –; ma un corpus, un rintraccio organico, oltre i grandi testi pervenuti, del papiro, testimonianza immediata, non filtrata, dei testi che davvero circolavano, si consumavano: mentre gli altri, forse, mantenuti nelle librerie, costosi, spariti con la distruzione delle biblioteche, mantenutisi nella tradizione medievale, erano meno letti, e hanno dato un significato a una civiltà, ma dopo, molto dopo; e, in controvelina, attraverso quei papiri, scoprire i significati di posizioni non astratte, non astoricizzate. Ritrovare come si leggeva e perché; cosa si leggeva e perché: in un certo periodo alcune opere, in altri altre, contemporaneamente in alcuni ambienti alcune cose, in altri altre. Cogliere il significato di alcuni termini, il loro modo di vivere, le loro cristallizzazioni.
Impresa difficilissima: da soli impossibile. Unico può essere l’intento e il fine: molti gli aspetti da studiare per dare un significato storico ai testi filosofici che si leggono, per calarli in situazioni concrete.
- Pensiero scientifico: e già questo, in epoche diverse, da intendere in modi diversissimi: una cosa è la riflessione sul tipo di pensare in forme aritmetiche e geometriche, altra la riflessione di chi fa medicina come scienza e non artigianalmente; altra cosa ancora è riflettere sulle condizioni che permettono una fisica, altra, in mancanza di esperienza, la maniera di applicare la scienza del numero, per razionalizzare, per familiarizzare un universo chiuso, ossia l’astrologia e l’astronomia;
- Pensiero giuridico: ma, anch’esso, soprattutto, da non considerare come categoria, ma storicamente;
- Tutta la problematica relativa a come si costituisce il rapporto umano (in modi diversi, a seconda delle varie concezioni e filosofie), che indubbiamente viene a determinarsi nei dibattiti sull’etica, la politica, la retorica, la grammatica, la logica, la poetica (quale ch’essa sia: poesia, pittura, scultura, commedia, tragedia);
- L’esperienza umana – e la riflessione su tale esperienza – relativa al rapporto con forze che sembrano trascendere l’uomo, che vanno oltre la comprensione umana: gli aspetti religiosi nella più ampia estensione, anche i misteri, anche la magia.
«Non esistono – sottolinea Giorgio Pasquali – discipline severamente delimitate, scomparti, Fächer, ma solo problemi che devono essere spesso affrontati contemporaneamente con metodi desunti dalle più varie discipline» [3].
Aspetti diversi, e molti, che costituiscono l’ordito e la trama di ogni epoca ed entro cui va calato, per essere inteso, ogni autore, nel nostro caso ogni frammento di papiro. Evitare, sempre, i grandi affreschi: leggere, invece, i testi (i più disparati), in contesti, in epoche diverse; ma, soprattutto, saper leggere.
L’antico progetto di pubblicare alcuni papiri a puro contenuto filosofico, si è in tal modo venuto trasformando. Due sono state le direzioni. La prima: chiedere la collaborazione dei vari specialisti dei singoli saperi, sì che ciascuno ritagli, entro l’àmbito di certi papiri – di contenuto matematico, fisico, geometrico, medico, astronomico, chimico, magico, religioso, retorico, giuridico, politico e così via – quegli aspetti che rivelano il connettersi di ciascuna disciplina – lessicalmente e per riflessione – in precise culture, in accertabili concezioni; la seconda: riproporre i papiri che abbiano per contenuto quegli aspetti del sapere che la tradizione ha consacrato come filosofici – dico scherzando, per avere un qualsivoglia criterio, di quegli autori per i quali, ormai, nel loro biglietto da visita è stato scritto «di professione: filosofo». E anche per questi, in particolare modo, riscontro del lessico, commenti filosofici essenziali: per intenderne la portata e la derivazione per un verso; il loro incidere e modificare per altro verso.
Il criterio di massima che con gli amici i quali hanno partecipato alla lunga e laboriosa fase preparatoria: Manfredo Manfredi (direttore dell’Istituto Papirologico "Girolamo Vitelli" di Firenze), Antonio Carlini (dell’Università degli Studi di Pisa), Maria Serena Funghi (della Scuola Normale Superiore di Pisa) e che qui pubblicamente ed affettuosamente ringrazio (senza di loro non sarei stato capace di nulla); il criterio di massima che abbiamo assunto è stato quello di raccogliere in un solo corpus tutti quei testi in papiro – nell’accezione più ampia che sopra dicevo; forse in un’appendice si raccoglieranno anche testimonianze relative a filosofi conservateci su altro materiale: epigrafi, graffiti, ecc. – che possano contribuire ad un rintraccio sistematico della storia della cultura filosofica e del suo mobile e dinamico lessico. Sono frammenti, momenti di una storia: dispersi dicono poco; letti a sezioni risultano storicamente inefficaci; mentre proposti insieme, studiati organicamente per rintracciarne i significati e, ad un tempo, l’epoca in cui ciascun papiro è stato scritto, possono essere spie per capire epoche e problemi, per comprendere come si sono venuti costituendo modi di sapere, incontri di culture, in particolare se raffrontati poi con i grandi testi pervenuti che assumono altri significati e valori temporali e sui quali sempre più difficile diviene proiettare filosofie e concezioni, categorie che con i tempi e le epoche studiate non hanno niente in comune.
Altro ovvio criterio è stato quello di mettere gomito a gomito papirologi, esperti di datazione dei papiri, e studiosi specialisti di storia della filosofia antica e del suo linguaggio e di come via via gli antichi interpretavano il loro passato, le proprie concezioni; ma anche studiosi di storia delle scienze antiche, di storia del diritto e via di séguito.
Ad ogni collaboratore – anche ad essi vada il più profondo ringraziamento – è stata così offerta la possibilità di studiare il papiro, non solo su edizioni già tradizionali (quando ci sono), ma sui papiri direttamente o su fotografie, che saranno pubblicate a parte.
Per gli adespoti è sembrato di particolare importanza riportare ciascun papiro in ordine al tempo in cui è stato presumibilmente scritto: ci si rende conto di quali testi, di quali questioni ci si occupava in una o altra epoca, che cosa, in una o altra epoca, si leggeva. Molti di questi papiri denunciano che la loro destinazione era per le scuole (in gran parte, probabilmente, per le scuole di retorica), oppure, sempre, scolasticamente, per una informazione generale, per la formazione di una cultura di fondo. Molti testi possono sembrare stoici, o epicurei, o platonici, o aristotelici: in realtà per non pochi si può dimostrare che sono florilegi, doxografie, manuali, e riflettono un linguaggio divenuto comune; per altri si intravede il manuale per studiare una o altra scienza, utile a chi si fonda su concezioni generali, su di una koinè culturale. E di fondamentale importanza, sempre, e anche relativamente all’epoca in cui appaiono scritti, sono sembrati i commentari: anche questi mutano e assumono tagli e impostazioni diverse a seconda dell’epoca; e a seconda dell’epoca e dei luoghi si commentano alcune opere di un autore e altre no.
Sempre più chiaro è apparso che, ormai, accanto allo studio delle grandi opere e degli autori celebri, accanto alla necessità di edizioni critiche, di revisione dei testi, di rinnovate traduzioni, accanto allo studio, insomma, degli alberi di alto fusto (che poi restano isolati se guardati in sé), è fondamentale lo studio del sottobosco, di quell’humus che ha permesso la crescita del resto: con pazienza, con fatica, rintracciando, appunto, il filo che tortuosamente, ora per un verso, ora per altro, talvolta spezzandosi, talaltra riprendendo in altra direzione, ha costituito i momenti diversi della storia del pensiero e dei suoi modi di esprimersi in linguaggi particolari, in lessici che, alla fine, hanno costituito una cultura e la sua molteplice, complessa, e mai univoca e monocorde storia.
Per questo avevamo creduto opportuno intitolare la collezione: Corpus dei Papiri Filosofici greci e latini. Testi e lessico nei papiri di cultura greca e latina: IV a.C. - VIII d.C. Subito un’altra perplessità. Per le ragioni dette ci sentivamo attratti ad accogliere anche i papiri di contenuto filosofico collocabili nell’area della tradizione ebraico-cristiana e orientale (frammenti di Filone l’Ebreo, di Origene e così via), sì da mettere a disposizione i documenti delle varie componenti che hanno dato luogo alla formazione della nuova cultura e della nuova filosofia classica tra il I secolo a.C. e i primi secoli dell’età imperiale, in un rapido confronto di imprestiti, di riflessioni diverse, di significati e pesi diversi dati al lessico in interpretazioni nuove. Senza l’inserimento o il rifiuto della componente ebraico-cristiana e di quelle religiose orientali non si intendono molti degli aspetti della cosiddetta filosofia greco-latina. Ma già vi sono altri che lavorano in tale direzione e a loro rimandiamo. Per analoghe ragioni, non includiamo nell’opera i papiri di Ercolano, alla cui pubblicazione sovrintende da tempo Marcello Gigante.
Mi sono soffermato su alcuni momenti, su alcuni aspetti delle nostre perplessità, delle nostre discussioni e, alla fine, sulle ragioni che hanno guidato l’impostazione della chiglia della nostra impresa, perché si spiega meglio il criterio che ci ha guidati nella distribuzione dei papiri in parti e sezioni, e meglio, sembra, si viene a illustrarne il fine ultimo. Criterio e fine ultimo hanno trovato in primo luogo il consenso della vecchia Accademia Toscana di Scienze e Lettere "La Colombaria" di Firenze – che si è assunta l’onere di garantire l’iter del lavoro – e, in secondo luogo, il consenso di vari specialisti, italiani e stranieri, che sono stati invitati a collaborare con noi. Il fine ultimo è di offrire, in chiare e scientificamente rigorose letture: testi con bibliografie; datazioni; trascrizioni; apparati critici; commenti e, qualora siano passi o testi mai dati in versione italiana, traduzioni; allargare il campo d’indagine su testi anche non strettamente filosofici, per meglio intendere problematiche e il mobile farsi della cultura. Speriamo cosi di venire incontro alle più nuove esigenze di proporre in edizioni critiche quanti più testi è possibile; di offrire, con tutti i limiti, i difetti, le omissioni che lavori del genere comportano, uno strumento di studio – non altro desideriamo – utile per chi in futuro vorrà avere sottomano un materiale da sfruttare per capire.
 
[1] E. Garin, Filosofia e storiografia filosofica, in M. dal Pra et al., La storiografia filosofica e la sua storia, Padova, Antenore 1982, p. 47.
[2] Me ne fu passata copia dattiloscritta a Bari, nel 1968, da un amico al quale l’aveva data, per me che mi occupavo allora dei momenti diversi del pensiero di Platone, don Cosmo Ruppi, che a sua volta aveva avuto una parte delle carte di Jaja dal nipote, Pierio D’Erchia di Conversano.
[3] Storia della tradizione e critica del testo, Firenze, Le Monnier 19522, p. XIV; vedi anche F. Coarelli, Topographie antique et idéologie moderne: le Forum romain revisité, Annales (ESC), 37 (1982), p. 725 e 739 n. 5.